Dopo il passaggio del primario mi portano a fare un altro monitoraggio. Il mio compagno guarda il
tracciato e sgrana gli occhi:
“ma che male hai?”
“male? No, per nulla, perché?”
“qui c’è scritto 80%!”
“che figata, se le doglie sono queste chiedi all’ostetrica i moduli: firmo
subito per fare un altro figlio immediatamente.”
Ore 14.00
Piegata in due do
testate sul bordo del letto.
“non erano quelleeeeeeeeeeeeee”.
In quel momento entrano i miei.
“No vabbé, qui non serviamo a nulla, torniamo più tardi”
E scappano.
Le ore successive
sono confuse nella mia memoria, ricordo che c’era un’ostetrica arcigna, con la
faccia da cicogna, che mi trattava da cretina. Ricordo che mi aspettavo di aver
dolori di pancia, o contrazioni come ne avevo avute fino a quel giorno, tipo un
cagnaccio che ti dà morsi nella pancia, e invece sentivo solo una fortissima
scossa nelle cosce.
Ricordo di aver rivolto un pensiero di solidarietà alla povera rana di Galvani.
Ricordo che
continuavo a dire a Facciadicicogna che volevo fare travaglio e parto in acqua,
che volevo andare nella vasca. A questo punto sono circa le 16. Mi visita, sono
dilatata di 3 centimetri. Facciadicicogna mi manda a fare la doccia, dice che
per la vasca è troppo presto.
A parte il fatto che la doccia me la potevo fare a casa mia, e infatti l’avevo
fatta, ma il 16 di luglio la doccia calda con le cosce che ti friggono è un’esperienza
che oserei dire da Purgatorio, e giusto perché io sono sempre ottimista.
Siccome so’ un po’
Pollyanna ma non sono proprio del tutto cojona, dopo un quarto d’ora di wok
nella doccia esco, sudata fradicia e pure un po’ incazzata. Per fortuna la mia
amica riflessologa aveva insegnato al mio compagno un paio di massaggini da
farmi durante le contrazioni. Io avevo male alle cosce. Lui mi massaggiava il
sacro, ma funzionava.
Alle 16.45 chiamo
Facciadicicogna, il mio compagno santo-subito mi segnala che le contrazioni
sono molto ravvicinate. Facciadicicognaputrefatta mi ride in faccia:
“Ma non ti visito nemmeno. Ah bella, sei
al primo figlio, quando torno domattina tu sei ancora qui che travagli”.
Non ricordo se le ho risposto, non ricordo cosa ho pensato, ma non credo che
fossero pensieri carini.
Ore 17.00
Risuono: sono
pronta a sbranarmi l’ostetrica appena mette le sue secche zampe dentro la mia
camera, ma grazie a Dio è cambiato il turno. La nuova ostetrica ha una
bellissima facciotta rubiconda e una risata che si sente da in fondo al
corridoio, stile Eddy Murphy. A pelle mi suscita subito simpatia.
“Tesoro” – ecco qua già ragioniamo di più - “Tesoro, dici che è ora? Vieni che ti
visito”.
“Silvia, brava, sei di 7 centimetri,
un’ora fa eri appena a 3: andiamo in sala parto”.
La sala parto è
bellissima, c’è una grande vasca fuxia al centro della stanza, un grande letto
matrimoniale con il copriletto a fiori, un armadio, varie poltrone, la palla,
lo sgabello, le tendine alle finestre coordinate al copriletto e un grande
mobile sotto le finestre con vari lavandini.
L’ostetrica mi
dice di mettermi come voglio, mentre lei va nella stanza accanto a preparare
l’occorrente.
“Acqua calda e asciugamani?”
“Certo cara, e bastoncino da metterti in mezzo ai denti un bel bicchiere di Rum
per i dolori, come si usa nel vecchio west”.
Decisamente io e la mia ostetrica siamo in sintonia.
Visto che per la
vasca è tardi (maledetta Facciadicicogna!), provo un po’ tutti gli strumenti,
ma l’unico modo in cui provo sollievo è accucciata vicino al letto, con la
testa sugli avambracci appoggiati sul materasso.
“Brava tesoro, hai trovato la tua
posizione. Solo spostati sul letto e attaccati alla testiera, così se ti
stanchi puoi metterti in ginocchio senza farti male”.
Mi sistemo, e in
quel momento mi si apre il file giusto: un’illuminazione e mi tornano in mente le
parole di Leboyer e succede proprio così.
Then a miracle happens: Opening... opening... a deep, immense breath overtakes you like a wave. It runs all through your body and makes you full as you have never, ever before.
Ora sono serena, sento che il momento sta arrivando. Il dolore mi attraversa ma non mi travolge, sono io che lo cavalco. Sto per vederla, sto per vederla, sto per vederla. L'emozione è quasi più forte del dolore. (Hey, ho detto quasi).
Sono
riuscita a sparare cavolate a raffica anche mentre partorivo. Sarà stato
l’effetto dopante dell’ossitocina, ma è stato un parto bellissimo. Alice è nata
in mezzo alle risate della sala parto.
“Silvia fammi controllare a che punto siamo.
Hai ancora un pancione. Secondo me il sacco non è ancora rotto del tu…”
SPLASH.
“Silvia
complimenti. Hai battuto il record mondiale. Hai fatto la doccia a me, al
ginecologo, all’infermiera, alla puericultrice, hai lavato le tende e secondo
me hai preso anche qualche passante giù in strada”.
Rotte le acque l’ostetrica mi dà il via,
posso cominciare a spingere. Mi metto a quattro zampe sul letto e comincio a
spingere come una forsennata. Le contrazioni non fanno più male finalmente e
spingere dà anche un bel po’ di soddisfazione.
Tra una spinta e l’altra naturalmente sono in pieno delirio.
Ricordo di aver fatto una filippica a tutti gli astanti (che ridevano come
pazzi) sul fatto che mia figlia non avrebbe mai avuto niente di Hello Kitty,
perché Hello Kitty è il Male, Hello Kitty è un alieno che sta cercando di
colonizzare la terra impossessandosi delle menti dei bambini.
“L’invasione è cominciata, siamo sotto
assedio!!! Come ne L’invasione degli ultracorpi, l’invasione degli Ultrakitty! Vade retro Hellokitty!”.
Ricordo di aver chiesto all’infermiera se mi portava una fiorentina e un mezzo
di litro di Chianti perché c’avevo un po’ d’arsura e un certo appetito.
Ricordo di aver pensato e quindi detto che la testa non usciva mai perché la
bimba doveva avere il nasone e si era incastrata per la canappia. L’infermiera
mi rassicurerà appena esce la bambina: “Dio bòno che bambinona! Altro che
canappia, questa si era incastrata per le ganasce!”
Comunque
dopo qualche spinta (quante? Non saprei!) finalmente la testa esce, e subito
dopo il resto del corpo.
“Eccola, Alice è nata alle 19.28”
E sento finalmente il suono più bello del mondo: il primo vagito della mia
bambina.
Faceva
esattamente così:
Me
l’appoggiano sulla pancia, così com’è ancora imbrattata di liquido, sangue e
membrane.
È calda e morbidissima, e ha un odore meraviglioso, come di focaccia dolce, appena
sfornata. Con un accento di vaniglia e di frutti di bosco.
È dunque questo l’odore
dell’amore?
Ora non sento più dolore, non sento più stanchezza, sento solo calore ed
emozione. La sua bocca già mi cerca, e anche i suoi occhi, mentre io la
accarezzo e le parlo, perché possa riconoscere la voce che l’ha cullata per 9
mesi. Al contatto con il mio corpo e nel sentire la mia voce smette di
piangere.
E comincio io.
Poi me la tolgono per lavarla e sistemare pure me, che non sentirò più niente
ma ho pur sempre partorito da un minuto e non devo essere un bello spettacolo.
Eppure il mio compagno, che in tutto questo tempo mi ha sostenuta, massaggiata,
incoraggiata e amata così forte che potevo sentirlo sulla pelle, mi ha guardato
con le lacrime agli occhi e mi ha detto che la bimba era bellissima, e che io
ero bellissima.
E forte.
E così mi sono sentita io, bellissima e forte. Da poter spostare le montagne.
In quel momento ho promesso a me stessa che mai più avrei odiato il mio corpo.
Perché mi ha permesso di fare un miracolo simile, e io gli devo rispetto e
amore in cambio.
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Nota del 2012: questa foto mi fa tenerezza,
perché tuttora Alice tende a tenere le gambe in
quella posizione.
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Intanto
Alice passa i suoi primi test (punteggi Apgar da competizione) e appare da
subito in splendida forma: 3.860 kg per 51 cm.
Me la
restituiscono e io finalmente la posso guardare bene.
È così strano questo
momento: vedi finalmente il visino che hai portato in grembo per tanti mesi. Io
non credevo di avere delle aspettative, ma sono rimasta sorpresa di vedere una
tale massa di capelli… nerissimi. Evidentemente in maniera inconscia io mi
aspettavo che somigliasse a me. Invece ha i capelli scurissimi, la pelle scura,
è anche un po’ pelosetta: il pelo sulle orecchie le è valso il simpaticissimo
soprannome di Aliciantropa per i primi mesi della sua vita. Alice, non ci
odiare, ti volevamo bene anche quando eri irsutella.
Le conto le dita perfette
delle manine perfette. E poi quelle dei piedi. Anche quelli sono ugualissimi a
quelli del babbo: che impressione.
Ha una voglia scura su un fianco: lo
sapevo che dovevo cedere alla Nutella, mannaggia.
Ha occhi grandissimi e
liquidi, color del piombo fuso. E io annego completamente. Sono decisamente
innamorata di lei.
Ho un po’
di emorragia, quindi mi tolgono di nuovo la bambina, per farmi finire in fretta
il secondamento e attaccarmi alla flebo. Alice viene messa sotto la maglietta
del babbo, che così sperimenta il suo primo (e ultimo)… allattamento. Alice
infatti gli cerca subito il capezzolo e si attacca. Evviva la parità!
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